Sebbene la dottrina medica dell’Omeopatia risalga ad Ippocrate (462-377 a.C.), i suoi principi di base tuttora riconosciuti si devono al medico tedesco Hahnemann (1755-1843). Il 1796 è la data in cui viene pubblicato il Saggio su un nuovo principio per determinare il potere curativo dei farmaci (Hahnemann enuncia per la prima volta i principi di similitudine) ed è la data a cui si fa risalire la nascita della medicina omeopatica; è solo nel 1810, però, che Hahnemann formula e codifica i principi scientifici della disciplina nella sua opera principale, l’Organon dell’Arte del Guarire. Il medico tedesco offre delle vere e proprie istruzioni d’uso, delle indicazioni cliniche e metodologiche mirate all’uso dei rimedi omeopatici.

In Omeopatia, gli stati patologici vengono trattati con rimedi che in un individuo sano produrrebbero sintomi simili a quelli riscontrati nello stato patologico. È questa la differenza principale tra la Medicina Omeopatica e la Medicina Convenzionale. Quest’ultima tende infatti a seguire la Legge dei Contrarisomministrando farmaci che contrastano l’azione innescata dall’organismo, ad esempio anti-piretici per la febbre. L’Omeopatia segue invece la Legge dei Simili o della Similitudine del farmaco (similia similibus curantur), enunciata dallo stesso Hahnemann, per la quale il rimedio o principio omeopatico (somministrato al paziente in dose diluita la cui misura è chiamata potenza) favorisce l’azione innescata dall’organismo rispettandone e facilitandone i meccanismi di reazione fisiologica.

Hahnemann giunge a questa conclusione traducendo un importante testo di farmacologia che tratta della corteccia di china e dei suoi molteplici utilizzi: osserva che coloro che lavorano la corteccia di china (impiegata per curare la febbre intermittente) sono soliti riportare dei sintomi febbrili similari a quelli della patologia precedentemente citata. La correlazione è evidente e la domanda sorge spontanea: è possibile che ci siano diverse sostanze in grado di curare disturbi similari a quelli che queste sostanze causano? Per verificare ciò, decide di condurre diversi sperimenti ed inizia ad assumere personalmente la china in dosi a più riprese, riducendo via via la quantità farmacologica assunta. Di seguito, inizia a prendere ulteriori sostanze a fa effettuare lo stesso percorso terapeutico anche ai suoi familiari e amici. La propria tesi è confermata e getta così i due presupposti teorici dell’Omeopatia Classica: la già citata Legge della Similitudine e la Legge della diluzione (dose infinitesimale).

I rimedi omeopatici presentano tre caratteristiche principali che gli infondono quella che è chiamata potenza omeopatica: attenuazione energetica (sono diluiti), la succussione (dinamizzazione) e la sperimentazione omeopatica (proving). Tutte le peculiarità nascono da motivazioni prevalentemente pratiche; molte sostanze utilizzate nel proving (sperimentazione/ test su persona sana per testare l’efficacia dell’omeopatia e le proprietà mediche dei rimedi omeopatici) derivavano da composti estremamente tossici pertanto si è deciso di diluirle, pur mantenendo le proprietà terapeutiche. Essendo i dosaggi così diluiti, si è manifestata la necessità di scuotere la miscela per renderla il più omogenea possibile ed incrementarne l’efficacia. Anziché combattere direttamente lo stato patologico, i rimedi omeopatici stimolano l’organismo a contrastarlo. Questa azione viene paragonata alle vaccinazioni, in uso nella Medicina Convenzionale, in modo abbastanza superficiale, essendo i rimedi omeopatici estremamente diluiti e soprattutto individualizzati sulla persona in virtù dei suoi sintomi specifici e caratteristiche fisiopatologiche particolari.

Successivamente all’assunzione di qualsiasi farmaco omeopatico, è assolutamente necessario misurare i vantaggi o gli svantaggi della terapia sul paziente; per capire se è iniziato un processo di guarigione, nell’Omeopatia si applica la Legge di Hering: ”Ogni guarigione comincia dall’interno e procede verso l’esterno, dall’alto verso il basso, e in ordine inverso rispetto a quello di comparsa dei sintomi”. Di fatto, ogni individuo affetto da patologia che ha assunto farmaci omeopatici deve mettere in pratica manifestazioni patologiche attribuibili a questo pattern esplicativo per poter affermare di aver iniziato un percorso verso la guarigione.

L’Omeopatia viene praticata in Europa, Asia e Nord America sin dalla seconda metà del XIX secolo. Questa metodica terapeutica è stata integrata nel Sistema Sanitario Nazionale in molti stati quali India, Messico, Pakistan, Sri Lanka e Regno Unito.

Dall’ortodossia omeopatica sono nate differenti scuole e sistemi terapeutici che hanno di fatto portato all’eterodossia dell’omeopatia; se l’Omeopatia Unicista, che meno si discosta dalla rigidità hahnemanniana, contempla la somministrazione di un solo principio omeopatico alla volta (disposto secondo le regole dell’Organon), l’Omeopatia Pluralista permette la somministrazione di più rimedi contemporaneamente. In particolar modo, quella che viene definita Omeopatia Clinica (o Complessista) impiega complessi di sostanze differenti così da combattere in maniera sintomatica e più superficiale il sintomo al posto della malattia. La ricerca ha dimostrato che la trasmissione delle sensazioni spiacevoli, che in medicina spesso corrispondono ai malesseri, è una staffetta chimica che, dalle terminazioni nervose presenti nel corpo e sugli organi, passa l’informazione di cellula in cellula fino al cervello, dove le sensazioni vengono etichettate come “dolore”,“prurito”, “nausea”, “freddo”, “caldo” ecc. Questo sistema è detto sistema nocicettivo, cioè della percezione delle sensazioni sgradevoli.

Per valutare l’omeopatia, come per valutare qualsiasi tipo di terapia, si usano a livello scientifico alcuni parametri. Il parametro più importante per i medici clinici è ovviamente l’efficacia reale della terapia in questione. L’efficacia reale (denominata anche effettività) “determina se una terapia fa più bene che male (ha maggiori benefici rispetto agli effetti collaterali, ndr) quando viene somministrato nelle abituali condizioni della pratica clinica” . Questo termine è distinto dal termine efficacia, che è riferito non più alle condizioni di utilizzo reali, ma a quelle sperimentali .

Allora, come si misura l’azione dell’omeopatia? Oggi è noto, come detto precedentemente, che il parametro fondamentale per valutare una terapia è l’effectiveness (effettività), cioè l’efficacia della terapia nelle reali condizioni in cui viene normalmente applicata. Qual è dunque l’efficacia dell’omeopatia nelle reali condizioni d’uso? Quali sono le reali condizioni d’uso dell’omeopatia?

La terapia omeopatica richiede una approfondita conoscenza sia della medicina generale, sia dell’omeopatia. La terapia omeopatica è una terapia individualizzata: il medicinale omeopatico è prescritto sulla base dell’insieme dei sintomi (fisici, energetici, mentali) che presenta il paziente, e non solo sulla base dei sintomi della sua patologia principale. Poiché l’insieme dei sintomi varia fra diversi individui che hanno la stessa patologia principale, per una stessa patologia possono essere prescritti diversi medicinali omeopatici. In medicina tradizionale in diversi pazienti che hanno la stessa patologia si usa lo stesso farmaco, quindi è possibile affermare che quel farmaco è efficace in quella data patologia, e quindi il risultato ottenuto in una sperimentazione clinica ( se ben condotta, ndr) è applicabile alla generalità dei pazienti con quella patologia. In medicina omeopatica, viceversa , l’attenzione è focalizzata su una diagnosi di squilibrio di sistema (l’animale ammalato nel suo insieme), e la terapia deve curare tutto il sistema , e non solo la sua patologia principale . Le varie patologie che il paziente presenta sono viste come l’espressione dello squilibrio del suo sistema , visto nel complesso.

In medicina omeopatica quindi: uno stesso medicinale potrà curare , nella stessa persona, diverse patologie; diverse persone ( che hanno quindi squilibri di sistema diversi ), saranno curate da diversi medicinali omeopatici, pur condividendo la stessa patologia principale.

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