Fitoterapia letteralmente significa “curare con le piante”; stando a quanto affermato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), tutti i vegetali che sono composti da sostanze attive dal punto di vista farmacologico possono essere chiamate piante medicinali. Generalmente le piante contengono diverse sostanze farmacologicamente attive, che formano il “fitocomplesso” e che determinano le peculiarità curative e terapeutiche della pianta specifica.

La Fitoterapia rappresenta la forma di medicina più antica ed è attualmente la più utilizzata al mondo. Molti dei più antichi testi quali il Papiro Ebers (prima prova dell’uso dell’aloe vera) e diversi antichi documenti cinesi sono essenzialmente costituiti da elenchi di erbe ed i relativi utilizzi medicinali. Ippocrate, Dioscoride, Avicenna e Galeno erano degli erboristi. Dall’alba dei tempi, la cura dei malesseri dell’uomo è stata basata sull’impiego di essenze naturali quali piante, funghi o animali o loro estratti dei quali era nota una qualche associazione tra uso ed effetto. La figura medioevale dello speziale, che preparava i “medicamenti”, si è evoluta fino al moderno farmacista.
La stessa Medicina Convenzionale, fino alla fine degli anni 30, si è largamente basata sulle piante medicinali e la stessa botanica è stata parte del curriculum accademico fino alla metà del XX secolo. Alla fine degli anni 30, l’introduzione di nuovi farmaci quali antibiotici e corticosteroidi, nonché i progressi delle tecniche chirurgiche, hanno segnato una nuova era per la medicina occidentale, tendendo ad eclissare discipline quali la Fitoterapia.
La fitoterapia è una branca della farmacologia scientifica che utilizza le erbe e le piante medicinali a scopo preventivo e curativo; scendendo nel dettaglio, impiega degli specifici estratti e dei metaboliti secondari (sviluppati dalle piante per la preservazione della specie e che sembrano avere importanti attività farmacologiche nell’essere umano) per trattare determinate condizioni. Gli estratti delle piante medicinali sono infatti considerati efficaci in virtù di una miscela di ingredienti attivi anziché di un singolo costituente. La stessa farmacologia infatti, utilizza le proprietà terapeutiche di molte piante estraendo o sintetizzando chimicamente i principi dotati scientificamente di efficacia.

Le specie vegetali utilizzate vengono comunemente chiamate piante officinali (piante medicinali e aromatiche, in inglese Medicinal and Aromatic Plants, o MAPs). Le parti utilizzate, come accennato, possono essere frazioni botaniche della stessa pianta (es. foglie, radici, fiori), l’intera pianta o un estratto della stessa, come gli oli essenziali o gli estratti idrosolubili.

Riassumendo le differenze principale tra i farmaci e i fitoterapici riguardano la composizione e concentrazione dei principi attivi. Sulla base di questo è possibile distinguere i fitoterapici in più categorie:

  1. Integratori alimentari: alcuni fitoterapici possono essere collocati anche tra gli integratori alimentari con riferimenti normativi differenti da quelli dei farmaci.
  2. I farmaci vegetali tradizionali: sono una nuovissima possibilità offerta alle aziende dall’Agenzia Europea per il Farmaco (EMA) che possono registrare alcuni prodotti seguendo una normativa semplificata (2004/24/CE), senza eseguire trial clinici e tossicologici di grande portata” (alla sezione “normativa”). In quest’ultimo caso sarebbe bene chiarire con assoluta certezza il concetto di “grande portata” di un trial.  E’ tuttavia necessario sottolineare che circa il 25% dei farmaci contemporanei scaturiscono tuttora da piante e che, negli ultimi anni, visti i numerosi effetti collaterali causati dall’utilizzo dei medicinali di sintesi, un approccio più naturale sembra riscuotere sempre più successi.

Salvo pochissime eccezioni, nei corsi di laurea di Medicina è quasi impossibile trovare insegnamenti di Fitoterapia; una volta ottenuto il diploma di laurea, i medici sono per lo più obbligati, vuoi per proprio interesse, vuoi perché richiesto dai propri pazienti, ad indirizzarsi verso enti pubblici e privati per richiedere corsi di formazione. Il tutto per riuscire ad ottenere quanto meno la conoscenze basilari che gli permettano di rispondere nella maniera più idonea e corretta al paziente che si dimostra sempre più informato in materia.
Il percorso formativo del fitoterapeuta inizia con una laurea specialistica in Farmacia o in Chimica e Tecnologie Farmaceutiche e termina generalmente con un master di II livello o un corso di specializzazione.
Se gli studenti di Medicina durante la loro carriera universitaria svolgono dalle 10 alle 30 ore di lezioni sulle MNC (tra cui la fitoterapia), quelli di Farmacia ricevono insegnamenti di botanica farmaceutica, fitochimica e fitofarmacia. Fa riflettere il fatto che non gli sia data la possibilità di studiare la fitoterapia e la fitovigilanza, auspicabili per completare la formazione in materia di automedicazione.
L’attività formativa che sembra prevalere nel nostro Paese è quella post-laurea, attraverso corsi di aggiornamento professionali organizzati da società scientifiche, farmaceutiche ed erboristiche. Non vanno tralasciati i corsi EMC che vengono legittimati anche dagli ordini professionali.
Negli ultimi tempi, si è giunti ad un accordo tra Governo e Conferenza dei Presidenti delle Regioni che ha permesso il riconoscimento della formazione post-laurea per tutti quei professionisti che hanno conseguito un diploma di Master universitario o di un corso di formazione dalla durati di minimo 3 anni (500 ore totale), con relativo accreditamento in appositi registri di medici esperti in fitoterapia e altre MNC.
Dal punto di vista europeo, questa disciplina riceve numerosi consensi sebbene le differenza tra i Paesi dell’unione siano tanto e sostanziali. Basti pensare alla Spagna, che permette il libero commercio delle erbe tradizionali, all’Olanda e il Belgio, dove esiste una supervisione molto più rigida ed inflessibile per i prodotti fitoterapici alimentari piuttosto che su quelli farmacologici e alla Germania, dove le piante medicinali vengono considerate allo stesso livello di un prodotto farmacologico. La fitoterapia dovrebbe pertanto interfacciarsi da un lato con la scienza dell’alimentazione e dell’altro con la farmacologia tradizionale; nel dettaglio ciò che contraddistingue un fitocomplesso da un farmaco è proprio il grado di complessità del primo. L’interazione tra questi, le loro concentrazioni, la forma in cui vengono somministrate e lo stato della persona che li riceve determinano l’effetto finale, che, va da sé, è molto variabile. Una delle esigenze della medicina moderna è però quello di relazionare in maniera più stretta possibile l’applicazione di un farmaco, qualunque sia la sua natura, con l’esito per cui è stato utilizzato. Contrariamente all’industria farmaceutica interessata unicamente al principio attivo, la Fitoterapia occidentale propone di rispettare la composizione originale della parte della pianta da cui le sostanze attive sono state ricavate tenendone incontro la sinergia.  L’utilizzo dei fisioterapici invece che di farmaci sintetizzati chimicamente garantisce una minor invasività e tossicità per l’organismo e minimizza eventuali effetti collaterali.
La situazione in Italia non può essere considerata positiva: non esiste una legislazione vera e propria che regolamenti l’uso dei prodotti fitoterapici, solitamente sotto forma di integratori alimentari.

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