Tutte le disfunzioni a carico del cuore e dei vasi sanguigni rientrano nella definizione generale di patologie cardiovascolari, come ad esempio cardiopatie congenite, infarto acuto del miocardio, aritmie, ipertensione arteriosa sistemica, ictus, etc. Secondo le European Cardiovascular Disease Statistics, esse rappresentano la prima causa di morte in Europa (47% delle morti totali) con maggiore prevalenza nei soggetti di genere femminile, con basso livello socio-economico e principalmente nell’Europa Centrale e Orientale .

Fa parte di tutte queste patologie l’ipertensione arteriosa che è caratterizzata dall’elevata pressione del sangue nelle arterie, dovuta ad un’eccessiva quantità di sangue pompata dal cuore e alla resistenza posta dalle arterie al flusso sanguigno. L’ipertensione di per sé non provoca gravi sintomi ma è un fattore di rischio per altre patologie più gravi (infarto del miocardio, insufficienza cardiaca , ictus cerebrale…), motivo per cui è importante individuarla e trattarla tempestivamente. Si parla di ipertensione arteriosa sistolica quando si riscontra un aumento della pressione massima; al contrario, l’ipertensione diastolica è caratterizzata da alterazioni nel valore di pressione minima. Si definisce ipertensione sisto-diastolica la condizione in cui entrambi i valori di pressione sono superiori alla norma.

Come è noto, la pressione arteriosa sistolica aumenta progressivamente con l’età, mentre la pressione arteriosa diastolica aumenta progressivamente fino ai 55 anni di età, per poi stabilizzarsi o addirittura diminuire. L’analisi dello studio di Framingham ha mostrato che prima dei 50 anni di età la pressione arteriosa diastolica è la componente pressoria maggiormente predittiva del rischio cardiovascolare, mentre dopo i 60 anni di età la componente pressoria più importante da un punto di vista prognostico è la pressione arteriosa differenziale. Tra i 50 e i 60 anni le varie componenti pressorie sembrano avere un’importanza sovrapponibile. Risultati del tutto simili sono stati recentemente ottenuti nell’ambito del Physicians’ Health Study: in soggetti di sesso maschile, la pressione arteriosa sistolica, la pressione arteriosa diastolica e la pressione arteriosa media sono risultate sovrapponibili in termini di valore prognostico al di sotto dei 60 anni di età, mentre la pressione arteriosa sistolica e la pressione arteriosa differenziale, ma non la pressione arteriosa diastolica, sono risultate significative al di sopra dei 60 anni.

Oggi però arriva una piccola rivoluzione in merito a questo argomento: per la salute degli anziani infatti, soprattutto in estate, non sempre sono necessarie le pillole per la regolazione della pressione. A volte infatti l’ipertensione non è un fattore negativo che deve essere ripristinato assolutamente perché specialmente in un under 65 alcune terapie farmacologiche potrebbero essere controproducenti e portare anche ad effetti collaterali.

E’ proprio per questo motivo che come sottolineano gli esperti della Società Italiana di Cardiologia Geriatrica (SICGe) durante il settimo Seminario Nazionale, in corso a Roma, è necessario rivedere i valori massimi di pressione: se normalmente negli adulti il valore ideale è 140 di massima, una soglia di 150 di massima negli over 65 e di 160 negli ultra80enni è ragionevole.

Con questo non significa che ad ogni persona anziana che presenti valori non in linea con la direttiva non debba essere prescritta una terapia farmacologica, ma è necessario sottolineare che l’obiettivo di ogni medico è la salute del proprio paziente e la prima cosa da valutare è l’età biologica ancor prima di quella anagrafica. E’ fondamentale quindi valutare quando sia o non sia necessario prescrivere una terapia farmacologia per evitare di ottenere l’effetto contrario risultando eccessive e in alcuni casi, aumentando il rischio di ipotensione.

 

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Fonte: Il Messaggero