L’eziologia dell’obesità si basa sulla rottura dell’equilibrio tra apporto calorico e dispendio energetico, con conseguente aumento del peso corporeo e di grasso addominale. Il bilancio energetico del nostro organismo si basa infatti, sulla trasformazione del cibo ingerito in energia e sull’utilizzo di questa energia per far fronte alle funzioni fisiologiche basali del nostro organismo.

Dietologi, nutrizionisti, diabetologi, medici di base e molti altri professionisti sanitari, hanno discusso a lungo su come e quando diagnosticare in un paziente l’obesità. Oggi si utilizza l’indice di massa corporea (body mass index, BMI). Valori di BMI fino a 24,9 kg/m2 sono considerati normali, valori compresi tra 25 e 29.9 kg/m2 individuano soggetti in sovrappeso, valori uguali o superiori a 30 sono diagnostici per obesità. Si tratta comunque di parametri essenziali ma non sufficienti per diagnosticare l’obesità, che necessita di un’analisi più approfondita del grasso corporeo.

Recentemente però, i ricercatori del Massachusetts Institute of Technology (Mit) e dell’Harvard Medical School hanno sviluppato un rivoluzionario sistema che, a partire dall’osservazione di alcune specifiche caratteristiche genetiche, è in grado di predire nei neonati il rischio di diventare obesi nel corso degli anni.

Lo studio, presentato sulla rivista Cell, convalida un nuovo algoritmo poligenico composto da 2,1 milioni di varianti nel DNA in grado di influenzare l’indice di Massa Corporea (BMI), testato in più di 300.000 individui che vanno dalla mezza età alla nascita. I risultati del test hanno evidenziato che, individui con una predisposizione genetica confermata dal nuovo algoritmo, hanno una probabilità fino a 25 volte superiore di diventare obesi rispetto ai soggetti senza predisposizione genetica. Inoltre, risulta evidente che le varianti genetiche cominciano a influenzare visibilmente l’indice di massa corporea a circa 3 anni di età, per poi divenire sempre più evidente passando per l’adolescenza fino alla mezza età.

C’è da sottolineare però che il nuovo algoritmo non è uno strumento perfetto e soprattutto non garantisce la sicurezza di non sviluppare l’obesità pur non essendo predisposto o viceversa. Allo stesso tempo il nuovo algoritmo permette di individuare con maggiore facilità i soggetti a rischio che potranno avere la possibilità di porre maggiore attenzione al proprio stile di vita dal momento che sono stati classificati come soggetti predisposti geneticamente all’obesità.

In conclusione, possiamo affermare che questo nuovo approccio, messo a punto da Mit e Harvard, potrà delineare con maggiore facilità la predisposizione ereditaria all’obesità offrendo nuove opportunità per la valutazione e la prevenzione clinica, ma come specifica uno degli autori del lavoro, Sekar Kathiresan,

il Dna non è destino, sappiamo che uno stile di vita sano può controbilanciare questa predisposizione”.

Fonte. Pubmed

Polygenic Prediction of Weight and Obesity Trajectories from Birth to Adulthood. Amit V.Khera; Mark Chaffin Kaitlin; H. Wade Sohail Zahid; Joseph Brancale; Rui Xia; Marina Distefano; Ozlem Senol-Cosar; Mary E. Haas Alexander Bick; Krishna G.Aragam; Eric S. Lander; George Davey Smith; Heather Mason-Suares; Myriam Fornage Matthew Lebo; Nicholas J. Timpson; Lee M. Kaplan; Sekar Kathiresan. Cell. Volume 177, Issue 3, 18 April 2019, Pages 587-596.