L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) definisce l’obesità come una condizione caratterizzata da eccessivo peso corporeo per accumulo di tessuto adiposo in misura tale da influire negativamente sullo stato di salute. L’obesità è la più diffusa malattia metabolica e nel mondo sempre più persone presentano un eccesso ponderale e sono obese. Per questo motivo l’obesità è considerata un’epidemia globale e una delle emergenze che più interessa la salute pubblica. In Italia l’ISTAT con l’indagine Multiscopo ha stimato che gli obesi rappresentano il 9% della popolazione adulta con un incremento del 25% rispetto al 1994 e con una leggera prevalenza degli uomini rispetto alle donne.

Dall’analisi delle possibili cause si è evidenziato che questo fenomeno è legato al modo in cui l’organismo reagisce ai propri depositi di grasso mettendo in moto una serie di eventi molecolari che impediscono il processo metabolico che normalmente mette un freno alla fame.

Un nuovo studio pubblicato su ” Science Translational Medicine”, mette in luce la motivazione per cui i soggetti obesi non riescono facilmente a perdere peso e fornisce un nuovo possibile approccio terapeutico che mira direttamente al sistema nervoso.  Da numerosi studi condotti in questi anni dalla comunità scientifica si è accertato che il nostro organismo per regolare il senso di fame produce un ormone che ha preso il nome di leptina.

Sono le cellule del tessuto adiposo del nostro organismo a produrre questa sostanza che, una volta in circolo, entra in contatto con la regione celebrale dell’ipotalamo rilasciando un impulso che il nostro organismo rileva come fame anche quando le nostre riserve energetiche sono complete. Nel dettaglio, la leptina è prodotta dal tessuto adiposo, ma non in maniera esclusiva, infatti è sintetizzata anche dalla placenta (a livello del sincizio trofoblasto), dalla mucosa del tratto gastro-intestinale, dal muscolo scheletrico, e dall’ipofisi. Si è convinti inoltre, che il metabolismo del glucosio stimolato dall’insulina sia un fattore importante nella regolazione dei livelli di leptina, i quali risultano essere regolati da più meccanismi post-trascrizionali che interessano la sua sintesi, secrezione e turnover.

E’ per questo motivo che la comunità scientifica ha ipotizzato di poter agire direttamente sul legame tra leptina e recettore così da ridurre il segnale nell’ipotalamo e di conseguenza l’appetito. Nel dettaglio il presente studio ha individuato una tecnica di silenziamento genico (che prevede l’iniezione di un tratto di RNA direttamente nell’ipotalamo) con cui è stato possibile ridurre l’aumento di peso nei topi obesi prevenendo la scissione dei recettori della leptina.

Sicuramente ad oggi la sfida più grande è cercare una strategia per sviluppare un trattamento di questo tipo negli esseri umani dal momento che non è possibile effettuare iniezioni ipotalamiche regolari negli individui. Il recente studio pubblicato su “Science Advances” da ricercatori dell’Università del Michigan e della Vanderbilt University ha individuato delle proteine che assicurano che non venga consumato né troppo né troppo poco cibo e ciò suggerisce un altro nuovo approccio per contrastare l’ obesità

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