Il possibile contributo delle cellule staminali di midollo osseo alla mucosa intestinale è stato esaminato per molti anni. Questa possibilità fu inizialmente negata da Cheng e Leblond sulla base di un modello di trasfusione di midollo osseo marcato con timidina triziata e poi successivamente da Cairnie che utilizzò un marcatore genetico. Cheng e Leblond proposero la teoria “unitaria” poi ampiamente accettata, secondo la quale tutte le cellule differenziate di mucosa e sottomucosa deriverebbero da staminali residenti. Molti studi, però, hanno riportato che le cellule di midollo osseo possono contribuire all’epitelio gastrico ed intestinale, le cui cellule del donatore riescono ad integrarsi nell’epitelio gastrico dopo trapianto di cellule staminali mobilizzate in sangue periferico. E’ stato dimostrato inoltre che una singola cellula staminale derivata da midollo osseo può attecchire e dare progenie, costituendo l’epitelio intestinale.

Il maggior problema legato ai trapianti rimane però la possibilità di una reattività immunologica tra donatore e ricevente. Nel trapianto di midollo osseo il sistema immune del ricevente può sviluppare infatti una reazione contro gli antigeni HLA espressi sull’organo trapiantato, determinando una reazione di rigetto.

E’ per questo motivo che la maggior parte delle persone che sono sottoposte ad un trapianto sono sottoposte anche ad una terapia immunosoppressiva cronica che dovrebbe ridurre il rischio di rigetto. Allo stesso tempo, ancora oggi il rischio di rigetto è la causa più comune e frequente di complicanza, a breve e a lungo termine, a seguito di un trapianto.

Nota l’importanza del microbiota intestinale in numerose patologie e terapie, la comunità scientifica ha focalizzato la sua attenzione sul ruolo che può avere il microbiota intestinale sul decorso post-trapianto di pazienti pediatrici.

Quello che si è evidenziato dai recenti studi pubblicati su Scientific Reports e su BMC Medical Genomics, è che il microbiota può effettivamente influenzare le probabilità di successo di trattamenti antibiotici effettuati su pazienti in età pediatrica.

Nel dettaglio, lo studio coordinato dal reparto di Oncologia ed Ematologia pediatrica “Lalla Seràgnoli” del Policlinico di Sant’Orsola e dal gruppo di Ecologia Microbica della Salute attivo al Dipartimento di Farmacia e Biotecnologie dell’Università di Bologna, con la partnership del gruppo dell’Unità di Genomica dell’Istituto di Tecnologie Biomediche del CNR di Milano, ha analizzato le variazioni nella composizione del microbiota di 36 bambini prima e dopo il trapianto. E anche in questo caso il ruolo della popolazione batterica intestinale è estremamente chiara: i pazienti che finiscono per sviluppare la GVHD presentano infatti già prima del trapianto un microbiota alterato, con una ridotta biodiversità e una maggiore abbondanza di specifici batteri legati allo sviluppo di infiammazioni.

In conclusione, grazie a questi studi si sono poste le basi in merito alle modalità ottimali per definire terapie e profilassi antibiotiche specifiche per ogni singolo paziente, partendo come prima cosa dallo screening delle specie batteriche che popolano il proprio microbioma intestinale.

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Fonte:

Fondazione Umberto Veronesi